Gruppi passati

 
The Objective Chance (2019) con Alípio Carvalho Neto (sax alto, sax tenore), Andrea Massaria (chitarra elettrica, elettronica), Giorgio Pacorig (pianoforte)
Nervidi (2016-2017) con Michele Anelli (contrabbasso, basso elettrico), Dominik Gawara (basso elettrico), guests: Kei Yoshida (tromba), Steve Buchanan (sax alto, elettronica)
The Five Roosters (2014-2016) con Martin Mayes (corno francese e corno delle Alpi), Mario Arcari (sax soprano curvo), Massimo Falascone (sax alto, sax baritono, ipad), Roberto Del Piano (basso elettrico)
One Lip 5 (2014) con Guido Mazzon (tramba, cornetta), Nicola Cattaneo (chitarra elettrica e acustica), Franco Cortellessa (chitarra baritona, chitarra classica 7 corde), Giorgio Muresu (contrabbasso)
Memento Mari (2012) con Gianni Mimmo (sax soprano), Angelo Contini (trombone), Marco Loprieno (fiati, elettronica), Patrizia Oliva (voce, elettronica), Nicola Guazzaloca (pianoforte, fisarmonica, vibrafono), Cristina Lodolo (marimba, percussioni), Bassirou Diakhate (percussioni africane), Patrizia Lugo (testi, visuals), altri musicisti, film/videomakers, fotografi, registi e attori
Transition (2011-2012) con Nils Gerold (flauti), Nicola Guazzaloca (pianoforte)
Gamra (2010-2014) con Paed Conca (clarinetto, basso elettrico, elettronica), Patrizia Oliva (voce, elettronica), Eugenio Sanna (chitarra amplificata, oggetti)
Carver (2010) con Ninni Morgia (chitarra elettrica), Silvia Kastel (sintetizzatore, voce), Patrizia Oliva (voce, elettronica)
NotG (2010) con Gianni Mimmo (sax soprano), Stefano Ferrian (chitarra acustica, sax tenore), Luca Pissavini (contrabbasso, nastro magnetico, oggetti)
Aghe Clope (2009-2017) con Paolo Pascolo (flautio traverso, flauto basso, sax tenore), Andrea Gulli (laptop, elettronica, nastro magnetico), Giorgio Pacorig (pianoforte, korg ms-20, rhodes)
Crash Trio (2008-2011) con Edoardo Marraffa (sax tenore e sopranino ), Chris Iemulo (chitarra amplificata)
Blistrap (2008-2009) con Mick Beck (sax tenore, fagotto, fischi), Jonny Drury (chitarra elettrica, elettronica)
Vincenzo Ramaglia’s Chimera (2008-2009) con Vincenzo Ramaglia (composizione), Massimo Ceccarelli (contrabbasso, loop station), Renato Ciunfrini (sax sopranino, soprano e contralto)
Bologna Improvisers Orchestra (2008-2012) with many musicians from the Bolognese area, including Daniele Giannotta (elettronica), Dario Fariello (sax alto), Filippo Giuffrè (chitarra elettrica preparata), Giorgio Simbola (trombone, violino), Nicola Guazzaloca (pianoforte, tastiere), Patrizia Oliva (voce, elettronica), Tristan Honsinger (violoncello), Enrico Malatesta (percussione), Andrea Grillini (percussione), Gaetano Alfonsi (percussione), Giovanni Falvo (percussione), Diego Cofone (clarinetto basso, elettronica), Antonio D’Intino (basso elettrico), Claudio Comandini (tromba), Gianluca Varone (sax tenore), Edoardo Marraffa (sax tenore, sax sopranino)
L’Amorth Duo (2007-2008) con Marino José Malagnino (due stereo set portatili, stereo set rotto suonato sui contatti e CD preparati)
Gebbia / Iriondo / Giust (2007) con Gianni Gebbia (sax alto, flauto traverso), Xabier Iriondo (mahal metak, elettronica)
Mitchell Giust (2007) con Gareth Mitchell (voce, chitarra elettrica)
Squame (2005-2006) con formazione variabile, Alessandro Boscolo (chitarra elettrica), Mat Pogo (voce), JD Zazie (CDs, giradischi, elettronica), Walter Belloni (contrabbasso), Edoardo Ricci (sax alto, trombone)
Skinstrings (2005) con Fred Casadei (contrabbasso)
Papiers Collés (2004-2010) con Lorenzo Commisso (audio laptop), Alan De Cecco (video laptop)
Rediffusion (2004-2005) con Andrej Bako (computer), Karen O’Brien (computer), Gareth Mitchell (chitarra elettrica)
Suonimmagine (2004) con Vito Maria Laforgia (contrabbasso, oggetti amplificati), Giuseppe Mariani (tromba, computer)
Babelis Project (2000-2001) con Dominik Gawara (percussioni, microsax, voce), Daniele Pagliero (filtri, sintetizzatore, loops)
Gbur (1998-2011) con formazioni diverse, Dominik Gawara (basso elettrico, basso fretless acustico ed elettrico, percussione), Daniele Pagliero (campionatore, elettronica), Ivan Pilat (sax baritono, bombardino), Paolo Caleo (chitarra elettrica, caleofono), Maurizio Suppo (chitarra elettrica), Lorenzo Razzano (basso elettrico, didgeridoo), Marcello Turco (tromba, trombone), Davide Lorenzon (sax alto, sax soprano curvo), Alessandro Fiorin Damiani (elettronica analogica), Alberto Collodel (clarinetto, clarinetto basso).
Margine (1997-1998) con Alessandro Cartolari (sax alto, microfono), Luca Cartolari (basso elettrico), Andrea Biondello (batteria)
Orbitale Trio (1995-1998) con Ivan Pilat (sax baritono, sax tenore, tromba), Paolo De Piaggi (chitarra elettrica, elettronica), collaborazioni con Roy Paci (tromba) e Fred Casadei (contrabbasso)
Le Bambine (1987-1995) con formazioni diverse, Vito Ciampa (voce), Orfeo Ciampa (chitarra elettrica), Marco Cossetti (basso elettrico, voce), Paolo De Piaggi (chitarra elettrica, elettronica), Bruno Romani (sax alto), Teho Teardo (chitarra elettrica)
Opera (1982-1989) il mio primo progetto solista sperimentale, con chitarre preparate, nastri, live electronics, radio, percussioni, voce, flauto dolce, tastiere, sintetizzatori, pianoforte, feedback, oggetti

 
 
The Objective Chance (2019)

Alípio Carvalho Neto sax alto e tenore
Andrea Massaria chitarra elettrica ed elettronica
Giorgio Pacorig pianoforte
Stefano Giust batteria e percussione

Quartetto riunitosi nel gennaio 2019 intorno ad Alípio Carvalho Neto, brasiliano da anni residente in Italia, musicista e musicologo (brillante la sua analisi delle opere per un’estetica fenomenologica della composizione contemporanea di Giancarlo Schiaffini, contenuta nel libro di Schiaffini intitolato “Immaginare la Musica” ed edito dai tipi di Auditorium). Il quartetto è completato da musicisti di vaglia del panorama italiano e internazionale, tutti provenienti dal Friuli-Venezia Giulia.

 
 
Nervidi (2016-2017)

Michele Anelli contrabbasso, basso elettrico ed elettronica
Dominik Gawara basso elettrico ed elettronica
Stefano Giust batteria e percussione

ospiti speciali:
Kei Yoshida tromba
Steve Buchanan sax alto ed elettronica

“Qui il processo creativo è volutamente schizofrenico. Anelli e Gawara fanno un tour de force sulle corde, viaggiando su di esse in tutti i modi più eclatanti possibili, sia con tecniche di estensione che avvalendosi delle stranezze di un pò di elettronica viva. Giust, peraltro, dà una dimostrazione verace del suo talento: raramente ho ascoltato un batterista viaggiare alla velocità della luce quanto fa lui e in questo progetto ha la possibilità di farlo; e non deve nemmeno sorprendere la creazione vivida dell’anguish surrettizia, qualità che ebbi modo di scoprire nel solo di Ossigeno a Torino. Sotto questo profilo Stefano è veramente unico. Classified è improvvisazione libera che non conosce pause, deliberatamente atonale ed aggressiva, ma certamente di contenuto: quel rischio di insuccesso che si può presentare quando si cercano strade impervie con la sperimentazione, in Classified è totalmente annullato.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Una smazzata di carne cruda, tirata su muri e pavimento. Macchina frullatutto che afferra, taglia, affetta, sminuzza e sputa brandelli non omogenei a ciclo continuo. Groviglio fitto ed atonalità complessa d’insieme (lavorata di muscoli, sudore e frullino). Un trio impro da sbarco sul limite della slogatura. Pesti e carogneschi, mascelle slogate di meraviglia. Roba non quieta, che quando s’espande diventa più infida. Urbanizzazioni pesanti, lividi, spunti e ossa rotte, rattoppi cameristico/elettroacustici da cartoon lisergico in bad trip solarizzato. Se non si ha paura di un pugno sul naso, gran bel digrignar.” Marco Carcasi, Kathodik

Nervidi è un trio dedicato alla libera improvvisazione; nasce a Torino dopo due concerti nel febbraio 2016. Il primo album intitolato Classified è disponibile su Setola di Maiale. Nel dicembre 2017, in quartetto con Steve Buchanan, suonano un incredibile concerto all’Industrie 9 di Lucerna.

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The Five Roosters (2014-2016)

Martin Mayes corno francese e corno delle Alpi
Mario Arcari sax soprano curvo
Massimo Falascone sax alto, sax baritono e iPad
Roberto Del Piano basso elettrico
Stefano Giust batteria e percussione

“Cinque improvvisatori al top, dall’Italia. Mentre potrebbe essere difficile esprimere esattamente quello che succede nel loro disco, di certo il prodotto finale è travolgente come i suoni prodotti dai membri del gruppo.” Ken Waxman, Jazz Word

“Nessun tema, nessun assolo, nessun accompagnamento, nessuna sezione ritmica. Invece di giocare tutti insieme a scapito di leggibilità, si alternano sulle mezze misure, punti e curve. Eminentemente collettivo, un puzzle caleidoscopico. In primo luogo il batterista, un crepitio organico che accelera e rallenta intorno ad una pulsazione implicita e raramente sottolineata. Sembra come se non gli importi del resto. Eppure, si può chiaramente sentire come i suoi strumenti e le sue tecniche sorreggono l’edificio. Ho davvero un grande piacere ad ascoltare questi pazzi Five Roosters. Un disco originale dove gioco e creativà hanno la precedenza sulla realizzazione individuale.” Jean-Michel Van Schouwburg, Improjazz/Orynx-improvandsounds

“Qui tutto si svolge nella più logica e benefica pratica improvvisativa, pieno di vitalità ed inventiva.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Partiamo dalla line-up per riscoprire ancora una volta la scena del free milanese anni ’70. Iniziamo dal brillante bassista elettrico Roberto Del Piano, un passato nel Gruppo Contemporaneo di Guido Mazzon, così come nel Trio Idea di Liguori e attualmente impegnato in Three Uncles con Magliocchi e Boss. Attorno a Del Piano, anima di questo avventuroso progetto neo-radicale, Mario Arcari, uno che ha fatto convivere nella propria storia sia De André che Steve Lacy; Martin Mayes, già nella Company di Derek Bailey e nell’Italian Instabile Orchestra; Massimo Falascone, anche lui con il Gruppo Contemporaneo e decine di altri progetti successivi, e infine Stefano Giust, il più giovane, ma ormai certamente propulsore della rivitalizzazione della scena improvvisata e dell’out-jazz italiano. Un power quintet che sembra suonare insieme da sempre: orientamenti non pianificati, ma perfetta l’intesa che riesce a scaturire con estrema lucidità (e creatività) nell’attimo stesso in cui le cose accadono. Viene esaltata una grandissima fisicità, basti ascoltare la brillantissima sezione ritmica che esalta un’intesa basso/batteria davvero invidiabile, per convincersi del fatto che set di improvvisazioni come queste lasciano un segno tra i tanti progetti che oggi vengono prodotti in materia.” Michele Coralli, Blow Up

Il gruppo è stato messo insieme dal bassista Roberto Del Piano. La musica del quintetto è un mare di suoni, un fiume in piena che sfocia qualche volta in sconosciuti laghi notturni. Hanno realizzato un album per Setola di Maiale nel 2013.

 
 
One Lip 5 (2014)

Guido Mazzon tromba e cornetta
Nicola Cattaneo chitarra elettrica e acustica
Franco Cortellessa chitarra baritona e chitarra classica 7 corde
Giorgio Muresu contrabbasso
Stefano Giust batteria e percussione

“Con One Lip 5 jazz ad alta temperatura. Un effervescente concerto del gruppo a Castello. Ritmi e atmosfere rarefatte, che non rinunciano al movimento ma che non possono far altro che stimolare la riflessione; suoni ridotti ai minimi termini che inciampano continuamente in ritmi e misure non convenzionali. È questo il tratto caratteristico ma anche il pregio del quintetto One Lip 5 che nei giorni scorsi ha deliziato il pubblico del teatro Verdi di Castelsangiovanni. Un concerto poco convenzionale, guidato dalla tromba di Guido Mazzon. Il concerto s’intitolava Jazz Jazz Jazz, ma c’è molto di più di quanto siamo abituati a sentire parlando di questo genere. Infatti, tutto nasce da un tappeto sonoro indistinto e preciso allo stesso tempo, addio melodia e fraseggi tradizionali: gli strumenti emergono l’uno sull’altro come dotati di personalità propria, senza uniformarsi ad una traccia rassicurante. Una formazione nata negli anni Settanta, quella della musica di ricerca, che ubbidisce solo al fuoco della creatività e manda al macero le regole tradizionali. Altrettanto apprezzato è il lavoro di spazzole di Giust, che passa rapidamente da un ritmo all’altro e, tra i suoi piatti, ha solo l’imbarazzo della scelta.” Quotidiano Libertà

“Ci si muove nei pressi di un post free abilmente organizzato, con echi di Ornette e Lmo, anche su spazi ampi con microsezioni che si succedono con una mobilità assolutamente salvifica. L’album è tra i migliori usciti in questa prima parte di 2015.” Bazzurro, Musica Jazz

“Condizioni di sensibilità verso una seria rappresentazione dell’improvvisazione jazzistica, permeano la musica di Guido Mazzon e del gruppo One Lip 5. È piuttosto difficile esprimersi in merito al corso della musica di Guido Mazzon, tanto essa è piena di considerazioni non effimere da fare; il suo senso dell’improvvisazione che parte da una vena blues e poi si allarga a tanti elementi può ritrovarsi in percentuali condensate nel nuovo episodio di “Apro il silenzio”, che si compone di contrapposizioni tra tromba, sezione ritmica e chitarre, un modo di proporre nuovi approcci mantenuti sempre nel quadro generale di una visione libera e creativa del jazz che Mazzon propugna con molta coerenza da sempre. Si può provare a dare credito ai tre minuti di esplosioni di tromba (Mazzon e Mandarini) e di sezione ritmica (Muresu e Giust) di Free or Four, che manderebbero in visibilio qualsiasi platea di jazz.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali

Il quintetto, nato nel marzo 2014, suona una musica jazz caratterizzata da una fusione tra il passato e l’oggi, con una scelta strumentistica particolare: molte corde, un fiato e la percussione. Musica improvvisata ma anche scritta da Guido Mazzon, primo storico esponente dell’avanguardia jazzistica italiana, fondatore della Italian Instabile Orchestra, ed i virtuosi Nicola Cattaneo e Franco Cortellessa, entrambi dell’Italian Guitars Trio. Nell’ottobre 2014 hanno pubblicato per Setola di Maiale il CD “Apro il Silenzio”, album che vede la collaborazione di numerosi ospiti: Alberto Mandarini, Pat Moonchy, Claudio Lodati ed Emanuele Parrini.

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Memento Mari (2012)

Gianni Mimmo sax soprano
Angelo Contini trombone
Marco Loprieno sax tenore ed elettronica
Patrizia Oliva voce ed elettronica
Nicola Guazzaloca pianoforte e fisarmonica
Cristina Lodolo marimba e percussioni
Bassirou Diakhate percussioni africane
Stefano Giust batteria e percussione

Il progetto multimediale Memento Mari è stato concepito nel 2011 e poi eseguito in Italia nel 2012. A quel tempo abbiamo avuto la prima cosiddetta ‘Emergenza Lampedusa’ – una situazione di emergenza, a nostro avviso, creata solo per ragioni politiche -. In ogni caso, Memento Mari nasce dall’indignazione di un gruppo di artisti: musicisti (principalmente improvvisatori), registi e videomaker, fotografi, grafici, drammaturghi e attori. Fin dall’inizio, il formato Memento Mari è stato pensato per includere artisti e musicisti locali nei luoghi delle performance. L’obiettivo infatti, era sensibilizzare il più possibile le persone dell’enorme tragedia. Animatrice e factotum del progetto è stata Patrizia Lugo.

 
 
Transition (2011-2012)

Nils Gerold flauto traverso
Nicola Guazzaloca pianoforte
Stefano Giust batteria e percussione

“Il trio affronta un’improvvisazione assoluta con motivazione, con grande attenzione per i valori dinamici, per le variazioni timbriche, per i variegati intrecci dell’interplay. Guazzaloca produce masse sonore ribollenti, le percussioni di Giust strutturano un contesto ritmico sussultante e magmatico, con frementi e crepitanti effetti sui metallofoni nei momenti più pacati. L’origine più classica ed aerea del flauto di Gerold viene piegata ad un’emissione nervosa, frammentata, guizzante, dai contenuti misticheggianti. La musica che i tre creano presenta una consistenza materica, un’ineludibile concretezza, una sintesi espressiva basata su un’indubbia onestà culturale e su grande rigore metodologico.” Libero Farnè, All About Jazz

“Transition si inserisce, per inventiva ed energia, nelle migliori produzioni d’improvvisazione libera europee.” (sul primo album) Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Ancora un’esibizione convincente in tre parti, si ascoltano tre musicisti incatenati ai loro strumenti proiettati verso una libera improvvisazione dove ognuno sembra correre per un treno personale, mettendo in maggiore evidenza le caratteristiche stilistiche di ognuno di essi.” (sul secondo album) Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Sono generalmente lontano dalla libera improvvisazione di questi giorni, perché sento che sono relativamente pochi i musicisti che possono sostenere un interesse per questa forma di musica. Qui, però, c’è un’eccezione. Questo è un gruppo molto affiatato, possono girare su una monetina passaggi che vanno da rombanti intensità a momenti meditativi, e mi chiedo se forse ci sono parti composte o qualche tipo di struttura pre-organizzata. In ogni caso, mi piace che ci sia un senso, uno scopo dietro la musica, non solo meandri fini a se stessi.” (sul primo album) Craig Premo, Improvised

“Questo è un altro grande album del gruppo. Il trio produce un sacco di calore, con l’interazione tra Guazzaloca e Giust che ricordando le epiche battaglie di Cecil Taylor e Tony Oxley. Nils Gerold sta spingendo i confini del flauto come strumento d’improvvisazione e merita di essere menzionato come uno dei migliori flautisti della musica di oggi. Il gruppo presenta grande varietà. Se siete un fan di improvvisazione libera o del flauto nella nuova musica, questo è il vostro disco.” (sul secondo album) Craig Premo, Improvised

“Fenomenale!” Loris Zecchin, Solar Ipse

“Le dinamiche interne risultano meticolosamente analizzate” Boddi, Musica Jazz

“Una caratteristica cruciale in questa vitalità generale di Transition, stà nella trasformazione perpetua del flusso sonoro; dai blocchi massicci di comune infiammazione, il trio tira fuori passaggi in cui lo strumento potrebbe indugiare non nascosto in mezzo a prospettive più tranquille. Nemmeno in queste ultime zone si ricevono segnali di tiepidezza: forze propulsive sono lì per essere riprese quando la pressione del sangue sale ancora. Non si deve perdere il coinvolgimento durante l’ascolto e le ricompense arriveranno.” Massimo Ricci, Touching Extreme

“Il trio realizza un livello molto fine di telepatia, di tocco europeo.” François Couture, Monsieur Delire

“Gerold, Giust e Guazzaloca, incidono qui cicli ritmici formidabili, infinitamente variabili e con una forza d’impatto di forza G3 (au cube!). Stefano e Nicola sono anche due importanti animatori della scena improvvisativa italiana, ben oltre l’Italian Instabile Orchestra, la quale solitamente viene vista come il culmine della creatività del jazz d’avanguardia italiano.” (sul primo album) Jean-Michel Van Schouwburg, Improjazz/Orynx-improvandsounds

“La musica di questo concerto al MiBnight Jazz Festival di Bremen, è splendidamente avanzata nella creazione di diverse prospettive e punti di cascata, nei modi dell’interplay felicemente diversi. Il trio ha una bella combinazione con indipendenza ed empatia, voglio dire che suonano insieme al 100% evitando mimetismi. Musicalmente c’è dietro la Germania e l’Inghilterra, ma queste sono ormai sature. Transition al MIBnight lo dimostra perfettamente. Tutto questo sa di musica improvvisata europea. Musica, musicisti, coesione di gruppo, invenzione, ecc è tutto perfetto. Affascinante!” (sul secondo album) Jean-Michel Van Schouwburg, Improjazz/Orynx-improvandsounds

“Selvaggia prodezza improvvisativa” Tom Sekowski, All About Jazz USA

“Un bel trio di free improvisation. Il flauto non è lo strumento principale – le tre improvvisazioni sono giocate molto democraticamente – ma poiché non può competere con il pianoforte e la batteria in termini di volume, riempie gli spazi vuoti con grazia e agilità impeccabili. Il pianoforte copre un territorio dinamico molto vasto, portando qualche potente impulso alla musica, guidato dal modo molto originale di suonare di Giust – che riempe di impulsi asimmetrici. La musica scorre con grazia, con alcuni tornanti e colpi di scena, riflussi che vanno e vengono, con molte sorprese lungo la strada. L’abbondanza di spirito d’avventura cavalca le maree musicali con facilità. C’è un sacco di cose da godere in questo CD”. (Free) Jazz Alchemist

Si sono incontrati per la prima volta nell’estate del 2011 a Bologna. Dopo un concerto di grande successo, hanno fondato il trio. A dispetto delle loro diverse origini musicali e geografiche – dalla nuova musica contemporanea alla musica tradizionale giapponese, dal centro Italia al nord della Germania – le loro improvvisazioni sembrano provenire dalla stessa mente. La musica che questo trio suona è profondamente radicata nella tradizione del free jazz. Hanno due album pubblicati nel 2012 e 2014 su Setola di Maiale.

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Gamra (2010-2014)

Paed Conca clarinetto, basso elettrico, oggetti ed elettronica
Patrizia Oliva voce ed elettronica
Eugenio Sanna chitarra amplificata e oggetti
Stefano Giust batteria e percussione

“Questo eccellente quartetto, colto durante una suggestiva perfomance dal vivo, funziona perfettamente, consentendo la creazione di una musica viva in continuo movimento e mutamento. Un documento importante, affascinante nel suo svolgimento. Una proposta musicale coraggiosa che testimonia la vitalità di scelte espressive meritevoli di maggior diffusione nel nostro paese, ancora troppo legato a canoni estetici di fruizione e a canali massificanti e arretrati.” Stefano Arcangeli, saggista, giornalista musicale (trenta anni con Musica Jazz), fondatore e presidente di Pisa Jazz e CRIM

“Un buon punto per ciascun musicista e onore per questo insolito quartetto.” Jean-Michel Van Schouwburg, Improjazz/Orynx-improvandsounds

“Impro Magnetica. Questo lavoro va a situarsi in un territorio ibrido dove il free jazz sfuma completamente in un’improvvisazione che reca con sè una forte componente fisica, quasi rock. Un’impalcatura capace di creare ansia e attesa. Musica vitale.” Antonio Ciarletta, Blow Up

“Si è qui alla ricerca di una articolazione sonora che vive di parecchie constatazioni di raccordo con la contemporaneità della musica e in questo senso è tutto dimostrabile sotto il profilo dei risultati. Sotto un’incalzante percussività (Giust sui carboni ardenti) ottenuta in un concerto tenutosi al Chilli Jazz Festival, si sviluppano due suites che scintillano di elementi incongrui, che si presentano comunque idiomatizzate; soprattutto nella prima “relazione” di pensieri profusa da Let me know your thought (forget my truth), funziona un impervio solismo che libera capacità e lavora sulle potenzialità: Conca con assoli brucianti, Sanna con ipnotismi divisi tra il graffio e il feedback chitarristico, Oliva che stabilisce un ponte tra varie configurazioni della vocalità (sprazzi del canto jazz, del melodramma atonale, della voce alterata dall’elaborazione elettronica, per citarne solo alcune) costruiscono un prodotto ruffiano, impetuoso, a tratti orientalizzato; nella seconda “relazione” la suite Let me know your thought (don’t be silence) impone per approfondimento una situazione ancora più subdola (direi al limite di un viaggio psichedelico), che viaggia in mondi sonori impensabili, guidata dall’assoluta perizia dei quattro musicisti. Inutile quasi ribadire che esperimenti come questi sono una panacea per la musica progettuale.” Ettore Garzia, Percorsi Musicali

La musica di questo ensemble italo-svizzero si esprimeva nella libera improvvisazione, dove le tante e diverse esperienze dei musicisti creavano un incrocio di sonorità e direzioni uniche e sempre contemporanee. Il quartetto ha pubblicato il primo disco per Setola di Maiale nel 2011, registrato in concerto nell’abbazia di San Zeno di Pisa (location che, sul finire degli anni ’70, divenne una delle sedi storiche della programmazione concertistica della musica improvvisata in Italia). Sempre per Setola di Maiale, nel 2015 esce “Pow”, registrato al Chilli Jazz Festival, in Austria.

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Aghe Clope (2009-2017)

Paolo Pascolo flauto traverso, flauto basso e sax tenore
Andrea Gulli computer, elettronica e nastro magnetico
Giorgio Pacorig pianoforte, korg ms-20 e rhodes
Stefano Giust batteria e percussione

“Aghe Clope è un gruppo omogeneo e originale. L’inventiva di Stefano Giust crea lo spianamento, la demolizione o rimbalzo, un terreno di dettagli, una attività percussiva che integra ogni suono. I quattro musicisti si ascoltano mirabilmente, favorendo la diversità/ discontinuità di intenti e strategie. Una serie di processi giocosi e una mente pulita per questi Aghe Clope che mi sembra di non aver sentito nulla di simile. Molti ascoltatori sensibili saranno interessati e scommettiamo che saranno conquistati dalla coesione del loro approccio liberamente improvvisato. Perché è il punto di forza del gruppo!” (sul secondo album) Jean-Michel Van Schouwburg, Improjazz/Orynx-improvandsounds

“Tra i quartetti italiani che conducono verso un auspicabile concetto di rinnovamento vero del jazz. Hanno il compito di sostenere un movimento eretto come probabile rito in negativo della società attuale, in cui basta guardare a Jednou Nebe per verificare il prototipo di viaggio sonoro che si vuole raggiungere: sono sensazioni che allontanano di molto il jazz, lo proiettano trasfigurato in eteree e libere forme di linguaggio, comunque ribollenti di suoni. È come sentire gli Art Ensemble of Chicago dei sessanta immersi in una straniante sperimentazione, che ha però ancora una sua precisa godibilità. E già questo è di per sé un risultato allettante e concreto.” (sul secondo album) Ettore Garzia, Percorsi Musicali

“Musica non convenzionale che scorre seguendo il libero flusso dei pensieri, abbracciando un ampio spettro di riferimenti che va dall’improvvisazione radicale alla musica elettronica, dal minimal noise al rock progressivo, dalla musica contemporanea a richiami tribali. Elemento caratterizzante è il riuscito accostamento di acustico e di elettrico, di pieni e di vuoti, di furiose improvvisazioni e di momenti di stasi che corrono su un sottile filo di tensione. A volte tele-trasportato nel futuro altre volte coinvolto in un sabba frastornante, l’ascoltatore affronterà un viaggio che non lo potrà lasciare indifferente.” (sul primo album) Vincenzo Roggero, All About Jazz

“Atmosfera notturna da jungle-fever della downtown. Si tratta di una super line up. Denso, mai magmatico, molto di classe e ricco di atmosfere affascinanti.” (sul primo album) Kathodik

“Questo disco su etichetta Setola di Maiale, mette in mostra una notevole istanza. Altamente compiuta, è musica libera e imperturbabile, questi musicisti italiani possono inserirsi in qualsiasi situazione.” (sul primo album) Ken Waxman, Jazz Word

Aghe Clope è stato un ensemble di libera improvvisazione con influenze diverse che spaziavano dal free jazz alla musica elettronica e contemporanea fino alla psichedelia. Il risultato è stato una materia instabile, vibrante e vulnerabile. Spesso hanno collaborato dal vivo con l’Hybrida Light Show, un combo di artisti visivi che utilizza il sistema di proiezione tag-tool. Il gruppo ha pubblicato due album su Setola di Maiale, incluso un settetto a nome Aghe Clope Ensemble (che include gli ospiti Nicola Guazzaloca al pianoforte e sintetizzatore, Chris Iemulo alla chitarra amplificata e Gianluca Varone al sax tenore e giocattoli); l’album Blind Mind è del 2015 ed è stato co-prodotto con Dobialabel.

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Crash Trio (2008-2011)

Edoardo Marraffa sax tenore e sopranino
Chris Iemulo chitarra amplificata ed elettrica
Stefano Giust batteria e percussione

“Principalmente rifuggono la sfumatura romantica che in passato ha caratterizzato anche i musicisti italiani più all’avanguardia. Quando si tratta di pura improvvisazione, questi musicisti possono essere apprezzati per il modo in cui mescolano influenze esterne, tecniche estese e atonalità con coesione, facendo attenzione a non avvizzire le interazione in stasi, non importa quanto piccola sia la formazione in atto. Il Crash Trio conferma che gli improvvisatori del Nord Italia sono vivaci, di prim’ordine e frenetici come lo sono stati in passato.” Ken Waxman, Jazz Word

“Questo è un super trio. Improvvisazione radicale con una forte base di jazz. Un trio che lavora in modo sinergico. Free jazz made in Italy al meglio.” Andrea Ferraris, Sodapop

“Bella performance fumante.” François Couture, Monsieur Delire

“Super! Iemulo, Giust e Marraffa sono una live band che combina la sincera energia esplosiva del free jazz afro-americano con la libertà e la ricerca sonora della libera improvvisazione europea.” Improjazz

“La dimensione live è quella che meglio si addice a certificare l’onestà di una musica totalmente improvvisata e a documentarne il processo creativo. L’esibizione al Crash di Bologna è contraddistinta dalle schegge acuminate disseminate da Marraffa. Lo contrastano Iemulo, fino a snaturare il proprio strumento, e Giust con un drumming frastagliato.” Boddi, Musica Jazz

“In una parola, la vera essenza dell’improvvisazione. Senza concedersi pause di riflessione e di studio, buttandosi a capofitto nella musica senza mostrare alcun segno di cedimento; è una corsa incalzante di note e invenzioni. Spettacolare.” Sands-zine

Il Crash Trio è stato un gruppo dedito alla musica di improvvisazione, con una spiccata propensione al free jazz più duro. Il disco “Live at Crash” è stato pubblicato da Setola di Maiale. Nel 2010 hanno suonato in Brasile in occasione del festival internazionale ‘SESC de Arts’, al Teatro Santana di São Paulo.

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Blistrap (2008-2009)

Mick Beck sax tenore, fagotto e fischietti
Jonny Drury chitarra elettrica ed elettronica
Stefano Giust batteria e percussione

“Un trio incredibilmente potente guidato dal batterista italiano Stefano Giust, che non perde mai l’energia per tutti i 40 minuti del concerto. I tre sembrano fondersi bene insieme e non hanno paura di seguire le proprie idee con convinzione, una ottima combinazione per suonare liberi. Poi un amico mi ha detto ‘fantastico essere in grado di iniziare con una tale intensità e poi ancora portarla ancora più in alto.’ Questo è free jazz alzato a 11.” Noise Upstairs Manchester

“Beck, Giust e Drury consegnano una battaglia lampo trilaterale di ampio spettro, improv che fa spremere le meningi, un assalto ritmico che va dalla luce di una farfalla ad una stella di neutroni pesanti. In senso buono, cioè. Un pantechnicon di dolcetti dionisiaci per le sinapsi, seni paranasali e viscere. Dovevate esserci!” Zali Krishna

“Blistrap è l’out out del Free Jazz esplorativo ed è anche profondamente non-anglosassone. La rapidità del batterista coinvolge tutti e tre in una spessa Energy Music. Un trio che qui crea memorabile Free Jazz.” Ken Waxman, Jazz Word

“Un gruppo che dal vivo non fa certo complimenti quando si tratta di spingere, uno spingersi ai confini di ciò che si conosce. Una formazione singolare, con delle capacità decisamente sopra le righe.” Andrea Ferraris, Sodapop

“Scuro e grumoso è l’approccio sonoro di Blistrap, è musica libera da preconcetti, aperta al rischio, i tre protagonisti sfruttano ogni pretesto, ogni brandello materico per creare suoni e dare forma alla loro visione musicale. Hanno l’impatto di una eruzione vulcanica, il flusso sonoro ha la densità di una colata lavica che inesorabile si infiltra in ogni pertugio, si espande viscosa negli spazi possibili e impossibili. Visionari. Coraggioso.” Vincenzo Ruggero, All About Jazz

Blistrap combinava un furibondo free jazz e libera improvvisazione, con un assalto estremo verso il rumore. Essenzialmente Blistrap erano gli inglesi Beck e Drury, spesso combinati ad un batterista – io stesso o Phil Marks – oppure ad un fiato o un tastierista. Mick Beck, attivo sulla scena free dal 1980, è un grande virtuoso del sax tenore e sul palco è completamente senza legge, a volte usa fischietti e palloncini che compaiono dal nulla, ed anche urla e grida al pubblico. La sinergia e il loro modo di suonare si apprezzava moltissimo dal vivo! Hanno realizzato due dischi per Setola di Maiale.

 
 
Vincenzo Ramaglia’s Chimera (2008-2009)

Vincenzo Ramaglia composizione

Massimo Ceccarelli contrabbasso e loop station

Reneto Ciunfrini sax sopranino, soprano e contralto

Stefano Giust batteria e percussione

“Sogno inafferrabile ed impossibile, ecco l’essenza della chimera. Ed ecco anche una delle più spietate tra le possibili definizioni del contemporaneo comporre musica. La composizione infatti oggi si configura sempre di più come la rincorsa di un’irraggiungibile illusione. Non può quindi che risultare assai significativo il fatto che Vincenzo Ramaglia, compositore romano di formazione pienamente accademica ma che dall’accademia ha mantenuto un sano distacco, abbia intitolato Chimera il proprio ultimo lavoro compositivo e discografico. E così nelle sette tracce del disco si realizza l’unione tra elementi di natura musicale diversissima: il composto/interpretato e l’improvvisato, il predeterminato e l’imprevisto. Massimo Ceccarelli interpreta delle frasi scritte, registrandole e sovrapponendole progressivamente con una loop station su cui i sassofoni di Renato Ciunfrini e la batteria di Stefano Giust sono chiamati ad improvvisare. L’unico controllo che l’autore ha avuto su di loro si è esaurito nell’atto della creazione. Così Ciunfrini e Giust si sono trovati a muoversi liberissimamente tra i loops di contrabbasso. E le diverse atmosfere dei vari inizi hanno ottenuto dagli improvvisatori atteggiamenti musicali anche molto distanti. Dall’aggressivo starnazzare del sax e dell’entropia ritmica della seconda traccia al melodiare sovracuto unito a una pulsazione ritmica (quasi) stabile della sesta. Per un risultato musicale cangiante e multiforme”. Zeno Gabaglio, Azione

“Un piccolo capolavoro. Nel lavoro di Ramaglia la scelta del loop ed il contrabbassismo di Massimo Ceccarelli si sposano magnificamente così bene che spesso scaldano già a sufficienza l’esecuzione, il fatto è che su una trama già ottima, Giust e Ciuffrini si inseriscono in modo favoloso. In Chimera si incrociano musica contemporanea e scorie di jazz allo stato più avanzato” Andrea Ferraris, Sands-zine

“Chimera è una partitura per contrabbasso e loop station ai cui lati si interviene con taglio libero. Ciunfrini e Giust strattonano il corpo suono, pazientemente creato da Ceccarelli con i pedali del loop, tirandogli gentilmente i lembi della giacca. Senza invasioni, senza traumi… nell’universo impro siamo nel campo dell’eccellenza. Un suono noir fortemente cinematico, avvolgente e vellutato, stupefacente. Ciunfrini con i suoi sax taglia sottili lamine di free, Giust risponde anch’esso free e rilancia, producendosi in suggestioni rapide, incisive ed obliquamente cubiste, Ceccarelli pazientemente, elabora la base dalla quale poi si slega, confrontandosi libero con gli altri strumenti. Gira alla perfezione Chimera. Fra i lavori dell’anno.” Marco Carcasi, Kathodik



“Nel suo nuovo lavoro Ramaglia mette insieme elementi sonori distanti tra loro per dar vita a qualcosa di impossibile. Free-jazz, arte del loop, poliarmonie e poliritmie novecentesche, free improvvisation e tutto quello che sgorga dal suo background. Vincenzo crea qualcosa di estremamente vivo, spigoloso, ipnotico e contraddittorio ma che incredibilmente funziona. Per dar vita alla sua musica elaborata ed introspettiva, si affida, come al solito, ad ottimi musicisti, grazie ai quali l’universo cerebrale creato da Ramaglia viene squarciato da materiche scaglie palpitanti. Un tappeto sonoro modulare e ciclico creato appunto dal contrabbasso e dall’uso della loop station di Massimo Ceccarelli, sul quale irrompono i suoni estemporanei ed estremi dei sassofoni di Renato Ciunfrini e della batteria funzionale e ricercata di Stefano Giust. Vincenzo Ramaglia non ha fatto altro che mettere in musica la follia e la genialità dell’essere umano.” Kiriku, Blogbuster



“L’artista romano realizza nuovamente un prodotto di elevata fattura musicale e culturale. C’è da sottolineare lo sforzo di Ramaglia nel cercare di unire la partitura con l’improvvisazione, cosa di non facile realizzazione. Il sax gioca con se stesso, realizzando suoni astratti. Le percussioni sono quelle che colpiscono di più a causa del loro modo di esibirsi, intraprendono un percorso ritmico per poi lasciarlo e raggiungerlo nuovamente in diversi stadi della composizione.” Massimo Salari, Rock-Impressions



“La musica di Vincenzo Ramaglia si muove con l’effetto di un antidoto. Fuggendo ogni banalità, ogni possibile strada facile, con singolare purezza d’intenti trova il mirabile punto d’incontro tra jazz d’avanguardia e musica contemporanea. Un disco non per deboli di cuore, ma che può essere letto con l’innocenza di un bambino, o la competenza di un saggio. Spesso la stessa cosa. Complimenti davvero.” Massimo Marchini, Rockerilla



“Vincenzo Ramaglia ama viaggiare e viaggia volentieri con i suoni, anzi: esplora. Organizza spedizioni trovando i musicisti di cordata disposti a raggiungere luoghi sonori inesplorati.” Valerio Loraschi, Albero della Musica

“L’estetica del contrasto di Ramaglia si rinnova anche in questo Chimera. L’interesse di questa visione può risiedere appunto nella compresenza di un dualismo di generi che invece di fondersi in modo scontato, si respingono o si attraggono. Qui l’improvvisazione para-jazzistica, le manipolazioni elettroniche e la scrittura rigorosa sono gli elementi che animano sette movimenti costruiti in forma di suite. 7/8″ Michele Coralli, Blow Up



“La nuova e curatissima Chimera del compositore romano Vincenzo Ramaglia, mette a confronto l’improvvisazione cangiante di sax e batteria con partiture per contrabbasso e loop station, creando una mutevole dissonanza fra figure libere e reiterative. Un singolare esperimento, arricchito da idee e stimoli personali dei musicisti.” Vittore Baroni, Rumore




Chimera è una partitura del compositore romano Vincenzo Ramaglia, suddivisa in sette parti, per contrabbasso e loop station con improvvisazioni di sax e batteria. Questa è stata una collaborazione freelance dove ho suonato per le registrazioni del disco e fatto concerti per la presentazione. Nelle note di copertina del disco, si legge, tra le altre cose, che “le parti del contrabbasso – suonate e sovraincise con la loop station – sono tutte rigorosamente scritte sovrapponendo in partitura frasi che impiegano gran parte delle tecniche più ardite di produzione del suono da parte del contrabbasso, approfondite in un avido studio di Ramaglia delle pagine di Stefano Scodanibbio, il più straordinario indagatore di questo idioma. E così tremoli, trilli, bicordi, glissandi di armonici, movimenti circolari dell’arco, corde libere, remoti bordoni, posizioni anticonvenzionali dell’arco e delle mani, stilemi sonori che nelle partiture di Scodanibbio sono meravigliosamente sospesi nel vuoto, nella loro irripetibilità, qui si moltiplicano e si giustappongono in una tessitura ipnotica e rarefatta di sonorità inusuali. Grazie alla sensibilità del contrabbassista Massimo Ceccarelli nei confronti della sperimentazione sonora, Ramaglia ha aggiornato e integrato questi stilemi con ulteriori tecniche. Il secondo espediente con cui ha cercato di contrapporre varietà a modularità consiste nel differenziare il più possibile un loop dall’altro. Quasi sempre, in Chimera, ogni singola frase è una sorpresa rispetto alla precedente e non concede indizi sulla successiva. La terza scelta, contro la ciclicità imposta dalla loop station, è la più coraggiosa. Il contrabbassista costruisce pazientemente da solo l’elaborato tappeto sonoro di base, dopodichè, continuando a leggere in partitura ma senza più registrare loop, suona sopra quel tappeto frasi finalmente libere dalla modularità. È qui che intervengono sax e batteria, che contrappongono alla stratificazione dei loop la libera e vitale imprevedibilità dei percorsi che imboccano. Anche la scelta degli improvvisatori, dopo averli ascoltati dal vivo, è stata essenziale. Rispetto all’esigenza di sovvertire la ciclicità dei loop, Ramaglia ha trovato perfettamente funzionale il modo elegantemente borderline di Stefano Giust di gironzolare con la batteria intorno all’idea ritmica, suggerendola senza mai affermarla, negandola senza mai rifiutarla, intraprendendo strade sempre cangianti e avvincenti. Ramaglia ha subito individuato nell’approccio materico, instancabilmente perlustrativo ed estremo di Renato Ciunfrini ai suoi sax l’immediata traduzione in termini improvvisativi della ricerca timbrica e della riflessione sul suono approfondite sul contrabbasso in partitura. Un po’ per gioco, durante la registrazione, nell’atmosfera al tempo stesso ludica e creativa che si respirava in studio, il compositore ha suggerito un paio di parole-guida prima di ogni improvvisazione (ad esempio: blues cubista, soft tribale, noir frivolo, apocalittico catartico).”

 
 
L’Amorth Duo (2007-2008)

Marino José Malagnino due stereo set portatili, stereo set rotto suonato sui contatti e CD preparati
Stefano Giust batteria, percussione e crackle box

“L’Amorth Duo vaga solitario, costringe a soffermarsi. Cortocircuita ingegnosamente la consuetudine bolsa dell’ascolto svagato, la intercetta, la placca, dopo di che la sostituisce con la propria circolare visione: ed allora son cazzi. Non c’è via di mezzo, o ti alzi e spegni l’impianto, o gli presti attenzione. Costringe a riflettere. Non solo semplice impro.” Marco Carcasi, Kathodik

“Muri di suono organizzati e controllati e se ciò non bastasse, il colpo di classe: la rabbia, quella diretta, quella politica. Intendiamoci: niente proclami, è la stessa rabbia primitiva dell’Art Ensemble Of Chicago. Malagnino e Giust chiedono attenzione, in ogni minuto della loro esibizione. Un gruppo jazz travestito da orchestra noise: cazzo!” Giorgio Pace, Rocklab

“Non c’è niente di meglio per combattere la banalità musicale quotidiana: niente ritornelli e suoni preconfezionati in questo rito voodoo nel nome della guerra a quelle onde radiofoniche che, senza che ormai nessuno se ne accorga più, ammorbano l’ambiente.” Guido Siliotto, Il Tirreno

“Il lavoro de l’Amorth Duo merita una bella specifica, infatti pur essendo incentrato sul rumorismo, è molto organizzato e per nulla fatto in modo random. L’album sviluppa il rumore con un approccio free e non free-form” Andrea Ferraris, Sands-zine


“Potrò raccontarmela complessa la storia, ma il silenzio della battuta finale la saprà sempre più lunga di me. il loro album è. Carne viva che palpita. La bellezza dell’ortica, del rospo e della iena.” Sands-zine

Percussioni insistenti, pause melodiche e sfuriate improvvise di non-si-sa-cosa per un andamento (felicemente) sfibrante.” Antonio Ciarletta, Ondarock

“Rifrazione perenne dell’ordinario che si fa straordinario, musica che non teme confronti senza titubare su generi o sottogeneri. L’Amorth Duo, nelle parole dei protagonisti, si pone come obiettivo quello di “esorcizzare gli spazi delle onde radiofoniche”. Come contraddirli?” Stefano Pifferi, SentireAscoltare

L’Amorth Duo suonava libera improvvisazione basata sull’etica della “musica rurale”, ovvero ricerca di musica tratta dall’ambiente domestico. Il loro manifesto dava istruzioni per ripulire i luoghi dall’energia negativa, capitalista e coloniale, del rock: L’Amorth Duo esorcizzava l’aria satura di onde invisibili che fanno male all’organismo e alla mente dell’individuo. Il metodo di cura era una manciata di CD con brani preparati e mutilati insieme alla percussione. Due innoqui stereo da picnic: avanti, indietro, scegli la traccia giusta al momento giusto, stop, due tracce, interazioni, il tasto repeat, la radio, percussioni selvagge. Un attimo è free astratto, un attimo è ritmo e ritualità, è uno schiaffo eppoi una carezza, uno schiaffo eppoi una carezza. Riportava alle orecchie un mondo che all’apparenza si conosce, ma appena confuso, non si riesce ad individuare più. Hanno pubblicato un disco co-prodotto da Setola di Maiale e Produzioni Pezzente.

 
 
Mitchell Giust (2007)

Gareth Mitchell chitarra elettrica e voce
Stefano Giust batteria e percussione

“Canzoni estemporanee, che si mostrano per un’istante e poi si ritraggono, nel vuoto conseguente lasciato dal loro passaggio si intuisce la bellezza. Resta una vibrazione finale nell’aria. Ammutolito il pubblico.” Kathodik

Con Gareth ho suonato per la prima volta nel 2005, in occasione di un tour londinese con il progetto Rediffusion di Andrej Bako e Karen O’Brien. La musica suonata a quel tempo era improvvisazione elettronica in un contesto minimal techno sperimentale. In questo progetto invece, le canzoni scritte da Mitchell si adattano, si piegano alle improvvisazioni della percussione. La musica cambia e si arricchisce ogni volta di nuovi elementi. Nel 2008 hanno pubblicato l’album “Live Somewhere” per Setola di Maiale.

 
 
Papiers Collés (2004-2010)

Lorenzo Commisso computer audio
Alan De Cecco computer video
Stefano Giust batteria e percussione

Papiers Collés è un progetto artistico nato nel 2004 con l’intento di fare convivere estetiche differenti e cronologicamente distanti nel tempo, per questo indossavamo sempre camicie bianche, cravatte nere e pantaloni neri. Papiers Collés trasforma frammenti di musica classica in composizioni nuove e irriconoscibili, anagrammi musicali che rappresentano un’interessante riflessione sulle potenzialità del suono. Azione (batteria) e staticità (digital sound) si contrappongono nella performance, come anche le culture da cui provengono, musica di improvvisazione contemporanea e cultura elettronica. Il progetto usa con estrema libertà elementi estetici differenti al fine di mettere in discussione le abitudini concettuali del senso comune, giocando su cosa è reale e cosa non lo è, cercando di sottolineare le varie sfumature e possibilità di riflessione dataci dalla riproducibilità tecnica che caratterizza il nostro fruire artistico contemporaneo. Hanno tenuto performance in gallerie d’arte contemporanea come la Neon/Campobase di Bologna; nelle Università come l’Accademia di Belle Arti di Bologna; in rassegne d’arte come Torture Garden di Villa Buttrio; in musei come Villa Manin Centro d’Arte Contemporanea; in festivals audio-visivi come Lago Film Fest; festivals di musiche sperimentali come Variazioni; in centri sociali. Questo progetto è stato segnalato ed esposto al Premio Nazionale delle Arti Multimediali 2005 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca / Dipartimento per l’Università, l’alta formazione artistica, musicale e coreutica, e per la ricerca scientifica e tecnologica.

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Babelis Project (2000-2001)

Dominik Gawara percussioni acustiche ed elettroniche, microsax e voce
Daniele Pagliero filtri, sintetizzatore e loops
Stefano Giust batteria e percussioni elettroniche

“Un lavoro eccellente!” Juan Antonio Rotuno, Taladro n.13, 2004

Un trio dalla musica densa e ipnotica, attivo dal 2000 al 2001. La loro musica nasceva nella libera improvvisazione, focalizzata ad una sperimentazione creativa di interazione tra strumenti acustici e macchine analogiche e digitali. Nel 2002 hanno pubblicato un album co-prodotto da Setola di Maiale e l’etichetta messicana Genital Production.

 
 
Gbur (1998-2011)

(1998)
Dominik Gawara percussioni, pianoforte, voce, flauto, zanza, trombone e basso elettrico preparato
Paolo Caleo chitarra elettrica
Lorenzo Razzano basso elettrico e didgeridoo
Marcello Turco tromba e trombone
Stefano Giust batteria, percussioni elettroniche, voce, pianoforte e basso elettrico preparato

(1999)
Dominik Gawara basso fretless elettrico
Ivan Pilat sax baritono
Daniele Pagliero campionatore ed elettronica
Paolo Caleo caleofono
Maurizio Suppo chitarra elettrica
Stefano Giust batteria e percussioni elettroniche

(2009-2011)
Dominik Gawara basso fretless acustico e kaoss pad
Ivan Pilat sax baritono, tromba e voce
Daniele Pagliero campionatore ed elettronica
Davide Lorenzon sax alto e sax soprano curvo
Alessandro Fiorin Damiani elettronica analogica
Alberto Collodel clarinetto e clarinetto basso
Stefano Giust batteria e percussione

“Il jazz è una testa di maiale, lo è sempre stato – ma se di primato vogliamo parlare, loro sono i primi a farlo così, per pura maleducazione. Che iddio mi fulmini se i tempi non sono maturi!” Francesco Vignotto, Blow Up

“Gbur, tranci di carne viva, che nascono infetti d’impro, ma ben più strutturati d’uno sberleffo. Cool come pochi.” Kathodik



”Un approccio radicale senza compromessi a più voci, un simposio sonico che si sviluppa per stratificazioni, opposizioni e confluenze tra detriti rock, rumorismi, fraseggi post jazz.” Flavio Massarutto, Villotte Emigranti e Altre Storie Jazz





”È una musica che va dappertutto perchè non c’è una sola direzione da percorrere.” Marco Pandin, A-rivista anarchica

“Questo jazz eretico non ha bisogno di finezze, è rozzo e sconclusionato e tanto più dimostra la propria vitalità. È una sfida continua.” Luca Pagani, All About Jazz

“Un suono metropolitano, asfissiante, che più che descrivere panorami di cemento e desolazione, riconosce, riordina ed organizza. Lo sforzo del volo. Il suono di un suono che gli auditorium sclerotico/illuminati (in balia di bolliti marchettari e politiche mafioso/democratiche), mai sfioreranno neanche di striscio.” Kathodik

La musica di Gbur era libera improvvisazione, con un forte senso della coesione e della struttura, una riuscita combinazione tra free jazz, rock ed elettronica e non disdegnava né schemi ritmici né reiterazioni. L’ensemble era un progetto aperto che gravitava sostanzialmente attorno a Dominik e me. Il gruppo ha pubblicato quattro album per Setola di Maiale, dei quali tre sono registrati in studio, il quarto dal vivo.

 
 
Margine (1997-1999)

Alessandro Cartolari sax alto e microfono
Luca Cartolari basso fretless elettrico
Andrea Biondello batteria e percussione
Stefano Giust batteria, percussione, nastro magnetico ed elettronica

collaboratore:
Paolo De Piaggi elettronica e computer

“Una musica liquida, oscura, visionaria. Un’aurea altra, lunare verrebbe da dire.” SentireAscoltare



”L’unico paragone plausibile, per la libertà con cui il materiale è stato rielaborato, potrebbe essere, molto alla larga, con i chicagoani Rome.” Francesco Vignotto, Blow Up

Il progetto Margine è stato attivo dal 1997 al 1999 ed ha realizzato quattro album in studio per Setola di Maiale. L’ensemble era immerso nella libera improvvisazione contemporanea, nel free jazz e nell’elettronica, così come nei processi acusmatici. Uno di questi album è “Esplendor Lunare”, un disco particolare, un paesaggio sonoro oscuro e inquietante, suddiviso in due lunghe parti e costruito attraverso la manipolazione estrema di alcune registrazioni di libere improvvisazioni del trio formato dai fratelli Cartolari e me. La sperimentazioni in questo disco è molto radicale e avanzata, utilizza filtri, un registratore a nastro a quattro piste ed un computer. Ho organizzato e diretto tutte le parti con il paziente aiuto e la scienza di Paolo De Piaggi.

 
 
Orbitale Trio (1995-1998)

Ivan Pilat sax baritono, sax tenore e tromba
Paolo De Piaggi chitarra elettrica ed elettronica
Stefano Giust batteria, percussione e percussioni elettroniche

collaboratori:
Roy Paci tromba
Fred Casadei contrabbasso

“Fiati, ritmiche variegatissime e quant’altro in un qualcosa che non è né puro e semplice jazz, né rock, né altro. Si tratta di musica intelligentemente intesa e suonata.” John Vignola, Rockerilla 213, 1998

“Intenso e fuori schema. Improvvisazione radicale che mostra maturità strumentale e interazione collettiva.” SentireAscoltare

“Non mi viene in mente, in Italia, niente di paragonabile all’Orbitale Trio. Veramente ottimi!” Pierantonio Pezzinga, Intersezioni

“Non è affatto un’operazione semplice quella di descrivere a parole ciò che si percepisce ascoltando un lavoro come questo, né quella di accostarlo ad un genere ben preciso, c’è da dire però, che tutto ciò lo rende ancora più interessante.” Genia Box 1998

Il trio è stato attivo tra il 1995 e il 1998 producendo in tutto cinque album, di cui tre dal vivo e due in studio (incluso il quintetto con Roy Paci e Fred Casadei). I tre musicisti davano vita ad una musica istintiva e mutevole, la cui alea era qualche volta delineata da un certo intento e/o da una scrittura di carattere grafico. Più di frequente era preferita la libera improvvisazione. Di fatto suonavano svincolati dalle più ovvie convenzioni formali del fare musica: qualsiasi cosa un musicista volesse fare con la musica era sempre permessa, incluse performance Dada/Fluxus durante i concerti. Punti di riferimento erano sicuramente il free jazz afroamericano, la prima scena radicale europea, il pensiero di alcuni musicisti di classica contemporanea ed anche la no wave, le culture extra-colte, extra-occidentali, extra-.

 
 
Le Bambine (1987-1995)

(1987-1991)
Vito Ciampa voce
Orfeo Ciampa chitarra elettrica
Marco Cossetti basso elettrico
Stefano Giust batteria
ospite: Bruno Romani sax alto

(1991)
Vito Ciampa voce
Teho Teardo chitarra elettrica
Marco Cossetti basso elettrico
Stefano Giust batteria

(1991-1995)
Marco Cossetti basso elettrico e voce
Paolo De Piaggi chitarra elettrica
Stefano Giust batteria

“La storia del nostro rock nazionale passa anche attraverso le gesta de Le Bambine e questo LP “1994″ è qui per ricordarcelo.” Loris Zecchin, Solar Ipse, 2014

“Un grande disco, signori. “Carni a Metà Prezzo” possiede delle caratteristiche uniche ed autentiche che ne fanno opera di sicuro valore. Difficile fare paragoni di sorta, al massimo si ottengono immagini sfocate. Le Bambine applicano il free jazz all’hardcore e viceversa ponendosi all’avanguardia nel sottosuolo sonoro italico. In poche parole un gruppo originale e meravigliosamente ispirato, che dei modelli d’oltreoceano non sa proprio che farsene.” Luca Collepiccolo, Blast! n.8, 1993

“Le catalogazioni risultano non facili con “Carni a Metà Prezzo”. Le Bambine riescono ad eprimere meglio di altri la capacità di mescolare le carte senza cadere nel rischio del pasticcio, il difetto più evidente di molti gruppi che praticano il “crossover”, tra tempi lenti, tempi veloci e abbandoni allo sperimentalismo rumorista”. Gino Tozzini, Rockerilla n.165, 1994

“È veramente un disco di energia questo primo omonimo de Le Bambine, un prodotto nuovo creato per sopperire all’attuale crisi compositiva di molte bands italiane. Non perdete un loro concerto, il loro show è eccellente. Album destinato ai primi posti della top ten indipendente italiana.” Sulla Strada n.2, 1990

“Le Bambine ci sanno fare, mescolando con molta freschezza e spontaneità tracce hardcore e spunti rock. Interessanti i testi e l’abilità dimostrata nel saper coordinare le mille sfacettature del loro sound. Sarà interessante seguirli.” Paolo Maiorino, Metal Europa 1990

“Già acclamati cult-band del nord-est italico. Viva Le Bambine!” Marco Mathieu, Velvet 1990

“Un ottimo disco d’esordio. È la prima volta che sento una band italiana che suona rock selvaggio e spappolaregole usare testi in italiano con la massima disinvoltura. Dischi come questo fanno sì che Le Bambine sfuggano ad ogni citazione-paragone-catalogazione. Un disco sicuramente imperdibile per chiunque ami il suono forte e pieno di potenza, che non è usato in modo fine a se stesso ma convogliata e umanamente guidata verso dimensioni sonore reali, vive e splendidamente indomabili.” Teho Teardo, Urlo n.29, 1990

La storia del gruppo attraverso le parole di Adriano ‘Mago’ De Gasparo: “Verso la fine degli anni Ottanta, il Nordest d’Italia sembrava un teatro per una sorta di ‘rock rinascimentale’, anticipando la via stilistica, o l’approccio, del cross-over che avrebbe dominato il decennio successivo: Le Bambine hanno da subito ibridato il loro iniziale suono hard-core punk con elementi hard-rock, funk, jazz, insieme ad un approccio vigoroso e melodico e alla fine, addirittura con elementi improvvisativi, con un risultato vicino al rock d’arte. Il gruppo, formato nel 1987 dall’unione di quattro miracolose teste pensanti, il bassista Marco Cossetti e il batterista Stefano Giust, responsabili della vena più sperimentale (non così evidente nei primi stadi della band, ma che sarebbe emersa negli ultimi tempi nel trio con Paolo De Piaggi); è stato l’atteggiamento rock a picco degli altri due membri originari, i fratelli Vito e Orfeo Ciampa, che più caratterizzano il gruppo nel primo periodo, anche se la vena teatrale istrionica del cantante rafforza l’impatto d’insieme, creando un universo lirico surreale, dove le visioni oniriche, le perversioni sessuali, gli sbalzi d’umore e i riferimenti cinematografici si fondono in un tutt’uno. Potrebbero sembrare surreali, ma per noi sono una situazione, una immagine poetica. Non ci sono slogan a buon mercato, ma piuttosto impressioni visivo-evocativo solo apparentemente nonsense, spingendo anche qualcuno a usare il termine art-core per definire il gruppo. Tutti questi elementi erano presenti dall’inizio, fino alla definitiva rottura avvenuta nel 1995, ed erano già stati concentrati sul loro mini-LP di debutto (con la collaborazione del sassofonista Bruno Romani e la produzione di Alex Fabbro, pubblicato per la Devon Rexcord nel 1989). Furono portati ad un ulteriore sviluppo con “Irruzione nel XX Secolo” (originariamente registrato nel 1989 e pubblicato in CD da Aua Records nel 2000). Cambia la formazione e divanta trio con l’LP “Carni A Metà Prezzo” (Setola di Maiale, 1992): il risultato è interessante e originale, suggerendo la direzione d’avanguardia presa dal gruppo e da ogni membro della band dopo la rottura. Il quarto LP “1994″, registrato dal vivo nel 1995, esce anch’esso postumo nel 2013 per Setola di Maiale e contiene l’ultima inedita musica composta dal trio. Altri musicisti ospitati nell’ultima formazione a trio, sono stati Furio Rupnik al desktop (il laptop non era ancora disponibile in quegli anni) e Ivan Pilat al sax tenore. Nel corso degli anni il gruppo ha tenuto centinaia di concerti in Italia e all’estero, anche suonando nei tours italiani di Primus, Fugazi, Fishbones, Verbal Assoult, D.O.A., Fuzztones, Seers, Flashtones, Kerosene, Marphy’s Low, The Haters (Survival Research Laboratories), Negazione, Silverfish e tanti altri.”

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Opera (1982-1989)

Stefano Giust chitarre preparate, nastro magnetico, percussioni, live electronics, voci, tastiere, feedback, radio, tv-set, synth analogici, pianoforte, flauto dolce, oggetti, registratori

“Un suono più che delirante, superdistorto, straordinario nella sua totale follia elettrica” Stefano Bonagura, Rockstar n.70, 1986

Opera è stato il mio primo progetto musicale, avevo 14 anni, era un progetto solista totalmente immerso in quel movimento radicale DIY che oggi viene chiamato Cassette Culture o Tape Network. Il progetto è stato attivo tra il 1982 e il 1989 – includendo altre due cassette soliste a nome Les Temps Anciens e The Sounds Of Expression Studios (Expression Studios era in effetti la mia primissima etichetta sperimentale, per la quale erano uscite cinque cassette, tre delle quali – quelle di Opera – ripubblicate ufficialmente dalla Old Europa Cafe). All’epoca grandi influenze erano le idee di John Cage ed il versante più radicale della cultura post-punk e industriale. Opera ha prodotto tre album su cassetta, usciti a suo tempo per Old Europa Cafe AVS e anni dopo ristampati da Setola di Maiale e oggi fuori catalogo: Opera I – The Silence Of The Noise That Collapses (1984), ventitre brevi pezzi acustici, elettrici ed elettronici; Opera II – Love Factory (1985), tre lunghe improvvisazioni per chitarra elettrica preparata, feedback, nastro magnetico e live electronics; Opera III – Concert Without Audience (1986), registrazione di un anti-concerto per feedback, chitarra elettrica preparata, percussioni, registratore a nastro, basso elettrico e live electronics, esecuzione in solo e in duo con alcuni ospiti, tra cui l’amico compianto Marco Bortolin. Oltre queste tre cassette, dieci brani sono presenti in altrettante compilazioni internazionali di musica sperimentale di quel periodo, tra le altre “Il Pranzo Di Trimalchione”, Acteon (FR); “Woundz Never Heal! #1”, Harsh Reality Music (USA); “L’Ultima Insonnia”, Discipline Produzioni (IT); “Porn To Be Wet”, Das Fröhliche Wohnzimmer (AT); “The Spy 001”, Old Europa Cafe AVS (IT); “International Sound Communication #12”, A Man’s Hate (UK). Alcuni degli artisti che hanno condiviso queste compilation sono Sue Ann Harkey, FAR, De Fabriek, Vox Populi!, MCH Band, Die Form, MGZ, Costes Cassette, Trax (Vittore Baroni, Piermario Ciani, Massimo Giacon), Bene Gesserit, Gerogerigegege, Klimperei, MTT, Post Prandials, Lyke Wake, La Función De Repulsa, Algebra Suicide, Palo Alto, Merzdow Shek, Big City Orchestra, TAC, Randy Grief.

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